Clicca qui per la recensione completa
Dici clarinetto e pensi a quei meravigliosi pinguini immersi nella sezione fiati di qualche celeberrima orchestra. Se poi dici elettronica, vedi luci stroboscopiche, fumi che salgono e una sala piena di improbabili ballerini gongolanti.
Gianfranco De Franco ha detto “Imago” e ha scansato dalla nostra mente pinguini e discoteche, trasportandoci in una dimensione in cui qualunque tipo di schema è annientato. Questo è quello che succede quando un musicista della più impeccabile formazione classica non ha paura di afferrare il tempo. Perché in questi undici brani del suo ultimo lavoro, “Imago”, ci sono chicche raccolte per strada, evoluzioni di dimensioni intime e una matura consapevolezza della parola musica. “Ero pensiero”, “Slow Trip”, “Delirium”: poco importa cogliere ogni singolo strumento usato (e per strumento si intenda ogni oggetto che se percosso, battuto o sfregato produca suono) o pretendere di afferrare una precisa linea melodica o un inamovibile schema ritmico. In questo album ciascun brano è un occasione per farsi trasportare, al passo o al galoppo (come sulla furia di “Devil”), all’interno dell’effettivo concetto di movimento. Nessuna noiosa definizione o arcaiche eredità accademiche. No, i movimenti sono proprio quella serie infinita di moti e immagini interiori che durante un ascolto è impossibile mettere a tacere . La musica, infatti, è quell’arte che non può essere slegata da tutte le altre: perché essa ha un suono e un ritmo, come la scrittura; ha colori e intensità, come la pittura; ha volumi e frequenze, come lo spettacolo.
Una carica esplosiva e innovativa, “Imago” di Gianfranco De Franco. Da gustare da sola o con qualsiasi abbinamento artistico che, come lei, non abbia paura di rompere uno schema.